“Speranza certa!”
Monsignor Delpini, stiamo vivendo un momento di grave crisi: dopo la pandemia e la guerra adesso l’aumento dei prezzi, il “caro bollette” che sta mandando migliaia di italiani sul lastrico. Come tirare avanti?
Si può tirare avanti se si ha una speranza, una terra promessa desiderabile. Il vero dramma è la disperazione: in queste condizioni problematiche a me sembra che ci sia un atteggiamento di chi dice “qualcuno deve aiutarmi” e c’è l’atteggiamento di chi dice “forse io posso aiutare qualcuno”. Il vero dramma è la solitudine e la vera risposta è la solidarietà.
Spesso la disperazione porta ad azioni sconsiderate, che sfociano nella criminalità…
Credo che la criminalità abbia la sua radice non nella povertà ma nello smarrimento della distinzione tra bene e male. Quando uno, ad esempio, ritiene che possa fare qualunque cosa per difendere i suoi interessi o per imporre il suo potere.
Forse serve maggiore dialogo tra cittadini e istituzioni?
I cittadini non sono clienti, quindi dialogo vuol dire che sono considerati “cittadini” anche gli uomini delle istituzioni. Il dialogo tra persone che hanno a cuore il bene comune è sempre possibile e può aiutare a uscire dalle crisi che attraversiamo. Quindi l’incontro, il dialogo e il senso di partecipazione mi pare che siano irrinunciabili in un momento come questo.
Magari i cittadini cercano più rassicurazioni da chi li governa…
Cercano rassicurazioni ma non come una sorta di garanzia di provvedimenti di “beneficenza”, perché non sta in piedi: una società dove i cittadini si comportano come clienti che hanno diritto a essere serviti non va bene. La società sta in piedi perché l’incontro tra le istituzioni, coloro che le governano e i cittadini diventa un percorso condiviso e costruttivo.
Viviamo allo stesso tempo una grave crisi culturale. Tanti ragazzi sembrano più interessati alle lezioni di “corsivo” sui social che alle vere lezioni in classe…
Il problema più serio è di verificare se noi adulti diamo ai ragazzi delle buone ragioni per desiderare di diventare adulti. Loro sono indotti a chiudersi, a rifugiarsi nei social, a vivere una sorta di estraniazione alla società perché forse gli adulti li scoraggiano: più che dire “aggiustiamo il mondo”, il messaggio sembra essere invece “si salvi chi può, il mondo è già rovinato”. Perciò il tema della presenza in classe è un tema che fa parte di questo capitolo: ci sono insegnanti, educatori, genitori che tendono la mano, che avviano un dialogo con i giovani e trasmettono questa visione della vita che fa desiderare di diventare adulti. Un’opera educativa affascinante, piena di promesse per il futuro della società.
In questo scenario, domenica prossima saremo chiamati alle urne per il rinnovo del Parlamento. Qual è il suo appello?
Il mio punto di vista è che se uno è assente non può dire niente, se uno è presente può discutere, contestare, proporre. Il mio appello è di partecipare al voto, di riconoscere un progetto di società che ci sta a cuore, avere un desiderio non soltanto egoistico che la politica e l’amministrazione vengano in aiuto alle mie personali e private necessità e problemi. Ma che insieme si costruisca. Il voto è una parte essenziale di questo processo di partecipazione senza il quale la società è destinata a disgregarsi.
I politici dovrebbero pensare al bene comune…
La Chiesa Italiana si è fatta molto discreta su cosa devono fare i politici. Mi pare che in questo momento si sottolinei l’importanza del prendersi le proprie responsabilità. La Chiesa vede delle priorità nell’agenda dei politici, ma non sempre vengono messe così in evidenza: c’è una campagna elettorale dove l’unico linguaggio, l’unica insistenza, sembra essere su come risolvere l’emergenza immediata.
Uno dei temi è la famiglia: quella tradizionale sembra essere in crisi e il Papa da tempo chiede alle giovani coppie di fare figli…
Mi ricordo che una volta chiedendo a dei ragazzi della cresima cosa stesse loro più a cuore, un ragazzo di nome Thomas mi ha scritto: “prego che Dio aiuti i miei genitori, che tornino insieme perché noi possiamo essere una famiglia normale, felice”. Ecco questo mi ha impressionato. Ciò che veramente interessa, come vediamo, non è che la famiglia sia tradizionale o chissà come, ma che abbia le condizioni per essere felice. Una famiglia che può generare futuro è una famiglia che ha gioia da custodire. L’imperativo non può essere solo “cercate di fare bambini” ma “fate sì che il vostro amore sia vero”. Perché quello vero è un amore fecondo.
(intervista pubblicata nel numero odierno del quotidiano “Il Giornale”)